Era una notte buia e tempestosa. Inizia così il romanzo di Snoopy, il bracchetto inventato nel 1950 da Charles M. Schulz, figlio di un barbiere di Saint Paul in Minnesota. Un incipit climatico cui non è mai seguita altra parola. Un esordio drammatico che dalla pagina infilata nella macchina da scrivere guarda il profilo impassibile dell’autore. Cominciava così anche il romanzo criminale di Edward Bulwer-Litton, Paul Clifford, pubblicato con straordinario successo nel 1830: “It was a dark and stormy night”. In quel caso seguivano torrenti di pioggia e furenti raffiche di vento che sconvolgevano la fiamma dei lampioni in lotta con le tenebre di Londra. Snoopy invece scrive comodamente seduto sul tetto della sua cuccia, il cielo è per lo più sereno o ingentilito da qualche nuvola fioccosa. La notte temporalesca di cui parla Schulz non ci inquieta affatto, anzi ci induce al sorriso, mentre quella di Bulwer-Lytton ci prepara a una storia pericolosa. È tutta questione di clima, cioè di atmosfera. Però è più facile spiegare a un bambino perché ci fa paura Bulwer-Lytton che non fargli capire perché sia così divertente la vignetta di Snoopy. In entrambi casi la meteorologia non c’entra.
Per l’altro clima, cioè “il complesso delle condizioni meteorologiche che caratterizzano una regione o una località relativamente a lunghi periodi di tempo, e che sono determinate, o quanto meno influenzate, da fattori ambientali”, le cose non sono più semplici. Il clima in città, in montagna, al mare o ai tropici è passato in sottordine rispetto al clima del pianeta. Il clima non è più una qualità o una iattura locale ma un dilemma universale ed epocale. Provate a spiegarlo a un nipote o a una nipote di cinque anni.
Provate cominciando da Jean–Jacques Audubon, ornitologo, naturalista e pittore, nato a Les Cayes nell’isola di Santo Domingo nel 1785. Figlio del proprietario di una piantagione di zucchero e fratellastro di un numero sconosciuto quanto notabile di meticci, è l’autore di una monumentale raccolta di immagini che riproducono poco più di settecento specie di uccelli dell’america del nord, Birds of America, pubblicata tra il 1827 e il 1838.
Nel 1896 Harriet Hemenway e Mina Hall organizzarono una serie di tè pomeridiani per convincere le signore della buona società di Boston a rinunciare ai cappelli ornati da piume d’uccello. Queste riunioni culminarono nella fondazione della Massachusetts Audubon Society.
Nel 1940 l’Audubon Society, ormai un organismo nazionale, inizia a documentare le minacce alla salute dell’ambiente, monìtora lo stato di conservazione degli ecosistemi, segnala gli animali in pericolo di estinzione, fa il censimento delle specie ornitologiche e verifica le condizioni del loro habitat. Nel 2014 rende pubblico il suo rapporto sul clima. Sulla base di dati raccolti nell’arco di decenni, gli scienziati coinvolti dalla ricerca della Audubon Society prevedono, entro il 2080, la minaccia di estinzione o l’estinzione per 314 specie, a causa della perdita del loro habitat dovuta a cambiamenti climatici. Le assenze progressive nell’atlante ornitologico di Jean-Jaques Audubon sono come le lancette di un orologio. È chiaro che la sopravvivenza dei nostri nipoti è questione di clima. E di tempo. Tempo che scorre e tempo che cambia. Il bel tempo e il tempo limitato. Una sola parola e una nuvola di significati. O una nuvola piena di pioggia. Quando le cose si fanno difficili diventano facili per gli artisti, e per i bambini.
Se volete raccontare a un bambino una tempesta in mare mostrategli La grande onda a Kanagawa, una stampa della serie Fugaku sanjūokkei di Hokusai Katsushika: è del 1830, l’anno della notte buia e tempestosa di Bulwer-Lytton.
Per la neve è persino difficile fare una scelta: Winter-Fifth Avenue di Alfred Stieglitz o la strada innevata d’arcobaleno dipinta da Claude Monet a Giverny: ma è probabile che niente possa superare l’attrattiva di Frozen, il film della Disney ispirato alla favola di Hans Christian Andersen, La regina delle nevi. È la storia di una ragazzina che produce ghiaccio, come una di quelle macchine che stavano sui ballatoi dei motel nei film americani dell’orrore (dentro c’erano sempre pessime sorprese; esempio lampante dell’humour macabro di Hollywood). Purtroppo nei disegni infantili c’è quasi sempre il sole, invariabile rassicurazione che tutto va bene o almeno che il male è ben illuminato. Mehr Licht, più luce! Come implorava Goethe? Non resta che ammirare con occhiali polarizzati le bellissime rose di Cy Twonbly, una rappresentazione gloriosa del sole sotto mentite spoglie.
L’arte contemporanea è più scherzosa e meno allarmante dell’infanzia e le offre molteplici occasioni di divertirsi con il tempo, il clima e la meteorologia: al Barbican Centre di Londra un progetto del collettivo artistico Random International permetteva, grazie a un sistema di sensori di movimento, di muoversi sotto la pioggia di una Rain Room senza bagnarsi.
L’installazione Snow di Tokujin Yoshioka racchiude in una scatola trasparente grande come una sala d’esposizione la coreografia di una pesante nevicata interpretata da milioni di minuscole piume bianche. Berndnaut Smilde ha creato una serie di nuvole artificiali in interni, realizzando dei Magritte abitati da fantasmi metereologici, che esistono solo il tempo di essere fotografati.
Blind Light di Antony Gormley ci fa entrare in un una serra gonfia di nebbia dove le percezioni si fanno indistinte. Gormley paragona questa esperienza a quella di essere in cima a una montagna o sul fondo del mare. La sua architettura non pone al riparo dall’inclemenza del tempo ma vi si abbandona.
Symphony in D minor di Patrick Gallagher e Chris Klapper è una serie di grandi cilindri sospesi che rispondono alle sollecitazioni dei visitatori. Sfruttando effetti visivi e sonori le sculture interattive reagiscono al movimento e al contatto intensificando gli effetti di pioggia, fulmini e tuoni.
Naturalmente la stessa creatività può essere indirizzata a stigmatizzare i cambiamenti climatici. L’anno scorso l’artista Olafur Eliasson e il geologo Minik Rosing con l’installazione Ice Watch nella piazza del municipio di Copenhagen hanno voluto sollecitare l’attenzione sul problema del riscaldamento del pianeta: cento tonnellate di ghiaccio sono state trasportate da un fiordo della Groenlandia sino alla capitale danese. Cento tonnellate è la quantità di ghiaccio che si scioglie ogni centesimo di secondo a causa dell’innalzamento globale della temperatura. Qualcuno ha obiettato che il consumo di energia per le operazioni di trasporto via mare e via terra e per la conservazione del blocco d’artista abbia vanificato il valore del monito ecologista.
Ci serve più ghiaccio e non vogliamo sprecare energia? Basta avere acqua e una casa molto fredda. Almeno questo insegnava ai ragazzi Lev Tolstoj nel terzo dei suoi Quattro libri di lettura russi, nel ragionamento Il ghiaccio, l’acqua e il vapore:
Con l’acqua si può scaldare così: si mette dell’acqua dentro una casa fredda. Appena si formerà il ghiaccio, il ghiaccio bisognerà portarlo fuori; e se se ne formerà ancora, si continuerà a portarlo fuori. E nella casa tutto diventerà più caldo, e a un certo punto sarà tanto caldo che l’acqua non gelerà più.
Ma dove troveremo ormai una casa così fredda? Fredda come la casa di Varykino, trasformata in cristallo dal gelo e arredata in ogni stanza da una neve perenne, dove trovano rifugio Jurij Živago e Larissa Antipova nel film che David Lean ha tratto dal romanzo di Boris Pasternak, Il dottor Živago. O fredda come la casa di ghiaccio che nell’inverno 1740 l’imperatrice Anna di Russia fece costruire sulla riva della Neva per il matrimonio di due suoi buffoni, come racconta Serena Vitale:
la casa aveva un aspetto più sontuoso che se fosse stata costruita nel marmo, giacché pareva scolpita in un unico blocco e per la trasparenza del ghiaccio e le sue sfumature cilestrine sembrava fatta di una pietra molto più preziosa. (…) le chiome degli alti alberi di ghiaccio, sul retro, erano popolate da storni e passeri e cornacchie di ghiaccio.
Due delfini di ghiaccio zampillanti stavano ai lati del cancello, due mortai e sei cannoni di ghiaccio sparavano a regolari intervalli; c’era anche un elefante di ghiaccio montato da un persiano di ghiaccio e affiancato da due staffieri di ghiaccio. I vetri delle finestre erano sottili lamine di ghiaccio, le stanze riscaldate da ciocchi di ghiaccio spalmati di petrolio. Nella camera da letto specchi, candelieri, pettini, spazzole, boccette e un orologio da tasca: tutto di ghiaccio. In una seconda stanza per accogliere l’appetito degli sposi una tavola di ghiaccio finemente intagliata, due sedie di ghiaccio, una credenza di ghiaccio con tazze, piatti e posate di ghiaccio. L’amore dei due buffoni deve essere stato incandescente per sopportare tutto quel gelido lindore o forse si è sciolto a primavera insieme al loro mondo di ghiaccio.
Purtroppo non possiamo attingere dalla letteratura tutto il ghiaccio che ci servirebbe per contenere gli effetti del riscaldamento globale, né dall’arte le piante favolose con cui vorremmo arrestare la deforestazione delle giungle tropicali, ma possiamo sognare di avere al nostro fianco il Tamino mozartiano che, ascoltando l’invito di Pamina, con il suono del flauto risvegli la natura intorpidita:
Comincia a suonare il flauto magico
Ci proteggerà nel nostro cammino
Lo intagliò in un’ora magica
Mio padre dalla radice più profonda
Della quercia millenaria,
Fra lampi e tuoni, tempesta e scrosci.
Ora vieni e comincia a suonarlo!
Ci guiderà nel difficile cammino.
Era appunto una notte buia e tempestosa, ma piena di musica meravigliosa.
anche queste pagine BELLISSIME!!!!
Grazie Anna Chiara, ci riempi di gioia. Di cosa ti occupi? Alessandra