Il rosso è stato il primo: per disegnare sulla pietra il profilo dell’animale cacciato o per tingere le stoffe. Il primo colore a potersi dire tale. Né bianco, né nero, con il bianco e il nero formava durante il Medio Evo una trinità di segni che nel codice sociale davano riconoscibilità al potere, al lutto, alla purezza, all’infamia, al sacro. Il rosso è stato emblema del fuoco, del sangue, della forza, della bellezza, della gioia, dell’erotismo, del pericolo, del lusso, della festa, dell’interdizione, dell’infanzia.
Il rosso è stato il colore della rivoluzione, ma anche del teatro, del velluto, dello spettacolo, della musica.
I capelli rossi di Rosso malpelo, nella novella di Verga sono l’orifiamma della malizia e della cattiveria infantile. Il protagonista di Pel di carota nel libro di Jules Renard sventola i suoi capelli come soldati in battaglia contro l’oppressione della società e la malagrazia di una madre odiosa. Secondo Alain-Fournier essere in conflitto con i genitori insegna l’irriverenza e l’irriverenza è condizione necessaria allo sviluppo completo dell’intelligenza. Quindi, viva Pel di carota. Allora Cappuccetto Rosso quando spiega al lupo come arrivare dalla nonna, forse si vuole liberare di lei e si veste per questo del colore della rivolta. Con un foglio bianco davanti, i bambini che scelgono subito la matita rossa sembrano pronti a far fracasso con i colori, a disegnare ad alta voce o a disegnare, invece, un tetto e un fiore, cioè l’alto e il basso di un mondo quasi perfetto.
Questo è l’Occidente ma, come diceva Mao Zedong, l’Oriente è rosso. In Giappone in verità il rosso è il colore del meridione e dell’estate, secondo un sistema cosmologico governato dalla geometria delle direzioni; i colori non sono descritti per il loro valore spettrografico, ma secondo un parametro emotivo. Dunque potremo avere un rosso iki (sofisticato) e un rosso shibui (discreto, misurato) o hannari (allegro, gioioso). Come sarà allora il rosso che imporpora la timidezza e la vergogna e nasce già da un sentimento? Qui c’è un esercizio quotidiano da sperimentare: leggere i colori come caratteri e magari trovare il loro numero Pantone. Ecco un rosso invidioso e un rosso triste o un rosso riservato e un rosso preoccupato.
Attraversando il mare e tornando verso Occidente ci si para davanti come uno stendardo millenario il rosso della Cina, colore positivo, legato alla gioia e alla fortuna; illumina le colonne di legno, le stoffe, gli oggetti e innanzitutto le lacche. Il rosso lacca è frutto dell’aggiunta di cinabro o di solfuro di mercurio alla resina ricavata da una pianta, il Rhus vernicifera: è il rosso vermiglio che si dondola incerto tra la porpora e l’arancio. Provate a dipingere in rosso un cucchiaio o una banana e non serviranno più a mescolare la zuppa nel coccio e a toglierci la fame, ma saranno parti di una storia da inventare e raccontare.
Il rosso per gli aborigeni australiani è il colore dei fichi selvatici, dei fiori, della sabbia e del fuoco, ma nella sua tonalità ruggine è il colore del Serpente Maschio e della guarigione; il rosso ocra è per le cerimonie. La porpora, nelle sue varie sfumature di viola, interpreta la mappa secondo le regole mutevoli della percezione: se più intensa, è la tinta delle montagne che si stagliano lontane, più scura è il colore delle montagne bagnate dalla pioggia. Una montagna rossa, Uluru, è il centro del continente: un monolite di minerale ferroso che deve all’ossidazione il suo colore. Ad ogni ora del giorno e in modo diverso in ogni stagione il rosso diventa oro, ocra, viola, bronzo, malva, granato, scarlatto, vermiglio.
Se spiegate davanti a voi una carta geografica e colorate di rosso lo spazio di una pacifica nazione dimenticata dalla storia, la Ruritania ad esempio, vi sembrerà di vederla all’improvviso correre alle armi, rivendicare un glorioso passato e spintonare le linee di confine dei vicini con una certa arroganza.
Nell’immaginario del cinema western e ancor prima in quello delle dime novel, i pellerossa erano per eccellenza la minaccia e suscitavano terrore: il rosso del sangue sull’immacolata virtù del pioniere. In verità, all’origine di questa definizione che ci pare oggi francamente razzista c’è una storia assai meno torva. Molti dizionari e libri di storia fanno risalire l’uso alla pratica degli indiani di dipingersi di ocra il corpo durante le cerimonie religiose. I Micmac ad esempio chiamavano per questo i Beothuk popolo rosso. Secondo lo storico Ives Goddard dello Smithsonian Institution di Washington l’uso della definizione uomini rossi è stato inaugurato dagli stessi nativi americani per differenziarsi dall’uomo bianco. La parola pellerossa è stata usata per la prima volta nel 1769 durante i negoziati tra il colonnello John Wilkins e la tribù dei Piankashaws e la sua diffusione più generale è dovuta al romanzo I pionieri di James Fenimore Cooper nel 1823, dove i nativi sono per altro considerati in maniera decisamente empatica. Hollywood poi ha decisamente cambiato le carte in tavola e il rosso è diventato cattivo per eccellenza.
Per fortuna nell’arte ha avuto maggior fortuna: Wand di Gerhard Richter, Grande rosso P18 di Alberto Burri, Quadrato rosso di Kazimir Malevi, Il grande busto rosso di Amedeo Modigliani, La danzatrice spagnola in abito rosso di Pierre-Auguste Renoir e il rosso negli affreschi di Pompei e il rosso di moltissime opere del pittore americano Mark Rothko. Proprio lui è il protagonista di una piece del drammaturgo americano John Logan intitolata appunto Red e a lui l’autore fa dire: “Amico mio, c’è una sola cosa che mi fa davvero paura nella vita… un giorno il nero inghiottirà il rosso”. Aiutiamo il rosso ad avere la meglio! In mano i pennelli.