Il Blu di Prussia è un pigmento di colore blu intenso, scoperto casualmente a Berlino da Johann Jacob Diesbach nel laboratorio dell’alchimista Johann Conrad Dippel.
Diesbach, fabbricante di colori, stava conducendo un esperimento con il proposito di ottenere sinteticamente il rosso normalmente ricavato dalla frantumazione delle cocciniglie: gli ingredienti adoperati erano il solfato ferroso combinato con il potassio. Forse il potassio fornitogli dall’alchimista non era di buona qualità o era contaminato; in ogni caso il cielo sopra Berlino avrebbe potuto contare da quel momento su una nuova tonalità per essere descritto. La scoperta risale a un anno imprecisato tra il 1704 e il 1707. Nel marzo del 1708 il pigmento è menzionato per la prima volta da Johann Leonhard Frisch, il procacciatore d’affari di Diesbach, in una lettera a Gottfried Wilhelm Leibniz, presidente della Reale Accademia delle Scienze. L’anno successivo, in un’altra lettera al medesimo corrispondente, viene usata l’espressione “Preussische Blau”. Nello stesso momento campioni del fortunato colore sono spediti a diversi pittori in giro per l’Europa: a Lipsia, Parigi, Basilea e in Italia.
Il quadro più antico sino a qui conosciuto dove si sia individuato il Blu di Prussia è La sepoltura di Cristo di Pieter van der Werff, dipinto nel 1709. Ma precoci nell’impiego furono anche Watteau e Canaletto. Ottant’anni dopo utilizzando una sospensione di Blu di Prussia in diverse concentrazioni, Horace-Benedikt de Saussure tinse dei rettangoli di carta fissandoli poi su un supporto circolare in una successione di sfumature dal bianco al nero; lo strumento doveva permettere di misurare l’azzurrità del cielo. Saussure era anche un eccellente alpinista: salito in cima al Monte Bianco si trovò di fronte al blu più profondo che avesse mai visto, esattamente il blu che occupava la casella numero 39 del suo cyanometre che ne contava 52. Gioco/esercizio: costruire un cyanometro e misurare il cielo ogni giorno appena svegli.
Nell’Autobiografia del Blu di Prussia di Ennio Flaiano, leggiamo che «se in un quadro i cattivi umori del pittore, le sue torbide malinconie, i suoi errori, le sue sfrenate ambizioni condensano e s’esprimono, state certi che là, in quel punto, troverete la mia ombra, l’ombra del Blu». Può darsi che la presenza di ioni di cianuro tra i componenti del prussiano abbia intossicato lo sguardo dello scrittore o che ancora si senta la misteriosa influenza dell’alchimista. Conrad Dippel, alchimista ma anche teologo, fisiologo e pietista, aveva tanti estimatori quanti nemici ovunque in Europa. Aveva tentato la trasmigrazione dell’anima da un cadavere a un altro e aveva creato un olio (l’Olio di Dippel) che prometteva l’immortalità. Non sappiamo se come elisir di vita abbia funzionato ma è sospettato essere quest’olio la causa del fallimentare successo di Diesbach; ed è Dippel, viaggiatore impenitente, che ha diffuso il pigmento in Olanda e altrove.
Il Blu di Prussia, intenso, profondo, misterioso e notturno, non poteva avere padrino migliore; Dippel era nato nel castello di Frankenstein nell’Odenwald e morì nel castello di Wittgenstein. Da una parte del filo la letteratura gotica e all’altro capo la filosofia viennese. Ludwig Wittgenstein nelle sue Osservazioni sui colori scrive: “Guarda la tua camera a tarda sera, quando i colori possono appena appena distinguersi; e poi accendi la luce e dipingi quello che hai visto nella luce crepuscolare”. Fatelo e vedrete le cose immerse in quell’ombra blu di cui diceva Flaiano. È l’ombra da cui escono i Biechi blu che, nel film d’animazione beatlesiano Yellow Submarine, anno di grazia creativa 1968, paralizzano gli spettatori ad un concerto della Sergeant Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Ma, all’opposto, sono blu anche gli uomini che incontra in uno dei suoi viaggi il Giovannino Perdigiorno di Gianni Rodari: pieni di pregiudizi alla vista di un uomo bianco (“lo legarono mani e piedi/ e in gabbia lo ficcarono”), attraverso la conoscenza (“misurarono la sua testa/scoprendo con stupore/che aveva due occhi/un naso e il raffreddore”) si ricredono completamente (“credevamo fossi un mostro/perché non sei turchino:/tante scuse per lo sbaglio,/vieni, bevi un bicchierino…”).
Il blu ha il suono di una tromba, una O squillante secondo Arthur Rimbaud, ma è anche un colore silenzioso. È chiamata ora blu quel momento in cui la notte e il giorno, in perfetto equilibrio si dividono i favori della luce e del buio. Ogni animale notturno tace già e tacciono ancora gli uccelli diurni. Il silenzio è assoluto, ed è dipinto in blu. Gioco/esercizio: dare un suono ai colori o, se si è capaci e coraggiosi, cantarli. Cominciando dal blu.
Forse i Tuareg, gli uomini blu, coprendosi con i turbanti turchini indossano il silenzio del deserto: “Domani sera,(…) a notte tarda, la luna colorerà di blu le dune di sabbia.” Tanto più che in Africa “la distinzione tra tinte rosse e tinte brune, gialle o addirittura blu e verdi è estremamente evanescente e i parametri per classificare i colori sono ben altri dai nostri – secco-umido, sordo-sonoro, liscio- ruvido”. Gli Egizi consideravano il blu una protezione efficace contro le forze del male, mentre greci e romani non sapevano quasi dargli un nome, scegliendone molti.
Il blu in occidente se ne sta per molti secoli in disparte, fino a che non diventa il colore che si spartisce con l’oro la gloria della divinità, il Dio di luce e non drappeggia l’augusta figura del primo Luigi di Francia.
Nei paesi del vicino oriente quando si è ammalati non si diventa pallidi ma blu, quando ci si arrabbia non si vede rosso ma demoni blu, dire che qualcuno ha il sangue blu non è segno di deferenza bensì di disprezzo. Ma una perla blu messa nella culla protegge e rassicura.
Per gli antichi Maya il blu era il colore con il quale dipingevano le vittime deposte sull’altare per essere sacrificate al dio della pioggia, anch’esso simbolizzato dal blu.
Torniamo per concludere all’alchimista Conrad Dippel: in un anno imprecisato tra il 1709 e il 1712 venne invitato nel Ducato di Meclemburgo-Streliz da un suo collega che aveva ricevuto la richiesta più bizzarra che avesse mai sentito da un principuccio della defunta signoria di Stargard: ottenere che ai nobili della Guardia a cavallo di quello stesso principe, vestita di magnifiche divise Blu di Prussia, crescessero capelli di uguale colore. Nessuno sa se l’alchimista che si diceva avesse venduto l’anima al diavolo sia riuscito nell’impresa e se sia stato lui molti anni dopo il parrucchiere della Fata Turchina. Felicemente, noi brancoliamo nel blu.