La piattaforma digitale ricochet-jeunes.org è il sito web che si occupa di letteratura per l’infanzia in lingua francese per conto dell’ ISJM, Institut Suisse Jeunesse et Médias. Scegliendo nell’indice tematico la voce alimentazione/gusto, si apre un sommario di quindici pagine e ogni pagina presenta dieci libri. I più recenti sono stati editi nel giugno di quest’anno: Tino, sacré gourmand! di Valérie Bouvier è la storia di un bambino goloso che insieme alla mamma prepara tanti dolci diversi per il compleanno della sorellina. Ah, quel soupe les amis! di Alain Serres racconta le gioie di una zuppa solidale messa insieme con baratti e scambi durante una passeggiata nei boschi dalla brava Lydie. Il meno recente risale al 1999, Miam, les epinards! di Catharina Walchx, dove un gatto e un’anatra non avendo che odiosi spinaci da mangiare, impareranno a loro spese che la fame è il miglior condimento di ogni piatto, come già aveva imparato Pinocchio gustando le aborrite bucce di pera dopo aver fatto la festa al frutto.
Impossibile anche solo una ricognizione superficiale di questi centocinquanta testi, per la maggior parte pubblicati negli ultimi cinque anni. Non si può che dare conto di una evidente attrazione editoriale per il tema. Scegliendo a a caso: in L’histoire du frigo di Ania Lemin una bambina mangia troppo e quel che mangia sparisce subito con un tiro di sciacquone. Il frigorifero, accusato di svuotarsi troppo in fretta, offeso se ne va; poi riconciliandosi, finirà per insegnare alla bambina che il cibo è una gioia e non un’ossessione. Un rêve sans faim, diciannove testi di François David con le illustrazioni plastiche di Olivier Thiébaut, esplorano con gravità e leggerezza le parole, le lettere, le logiche senza logica della fame nel mondo, contando i singoli chicchi di riso e i miliardi sprecati. Sottolineano l’indifferenza e l’egoismo di alcuni, il profitto di pochi anteposto al cibo per tutti; mettono in versi la siccità e la guerra come pure la speranza animata dalle piccole cose:
Une algue
C’est glauque
C’est glissant
Visqueux
Poisseux
C’est gluant
Dégoûtant
Et pourtant
Il existe
Une algue magique
Une vraie algue
Qui guérit
Les enfants mal nourris
C’est tellement beau
Si merveilleux
Une algue
Le voleur de fromage scritto e illustrato da Tim Warnes ci presenta Harold, un piccolo elefante fiero del coraggio del suo pachidermico papà. Nessuno è più forte e grande di lui, sino all’arrivo di un topolino sfrontato e mascherato che ruba con abilità e determinazione il formaggio di famiglia. Papà elefante è terrorizzato dal minuscolo razziatore e solo l’intrepida mamma elefante saprà aver ragione della ghenga dei ladri di formaggio.
Basta così.
Con una mossa del cavallo, ci spostiamo negli anni Quaranta, a Napoli, dove la signora Ida Visocchi regala alle figlie Biancamaria e Maria Rosaria, il giorno delle loro nozze, due eleganti taccuini in cui ha trascritto con mirabile calligrafia tutto ciò che poteva essere utile a una perfetta padrona di casa e che lei aveva raccolto negli anni, spigolando nelle riviste dell’epoca e nella tradizione famigliare (Un po’ di tutto, Milano 2102). Dentro quei quaderni si trova davvero un po’ di tutto: consigli per risolvere gli inciampi quotidiani, regole di bon ton, ricette che vogliono essere un esempio di igiene alimentare oltre che di abilità culinaria, rimedi naturali per piccoli mali, piccoli segreti per le pulizie della casa. Naturalmente le abitudini in cucina, allora considerate benefiche per i più piccoli, oggi un po’ ci inquietano.
Non ci sono dubbi. Ma bisogna sapere quale scegliere per addolcire il latte di mucca e quanto impiegarne. Bisogna rifiutare assolutamente il lattosio, e respingere con pari forza il glucosio. Meglio il maltosio, ma risultati ancora superiori si hanno con il saccarosio (quello che normalmente si ricava dalle barbabietole o dalla canna da zucchero). E anche qui nulla da eccepire, ma poi ecco le dosi: durante il 1° mese aggiungere mezzo cucchiaino da caffè per ogni poppatoio, il 2° mese passare a un cucchiaino pieno. Poi aumentare la dose gradatamente sino ad arrivare a 30 grammi ogni litro di latte. E conclude, “lo zucchero poi deve entrare in abbondanza anche nell’alimentazione dei fanciulli più grandi”. Willy Wonka non avrebbe potuto dirlo meglio; lui che per vendicarsi della feroce inimicizia tra il padre dentista e i dolciumi, causa di un’infanzia senza zuccheri, diventò il cioccolatiere più famoso del mondo (La fabbrica di cioccolato, Roald Dahl, 1964).
Ma c’è un’altra Ida, in Norvegia, che ha idee meno didattiche e più divertenti per addolcire la dieta dei bambini. Il suo nome è Ida Skivenes. È lei che si nasconde dietro il nom de plume di Ida Frosk e nei suoi piatti le banane diventano aeroplani, le carote pianeti, il formaggio si erge in colonnati attici, le fragole frullano come passerotti, il salame sorge sotto i piedi del Piccolo Principe in un cielo dove ogni pianeta ha un preciso contenuto calorico. Con l’Art Toast Project, ha messo in tavola un menu di capolavori che, nella necessità di un’estrema sintesi formale, esprimono in modo apodittico lo stile di ogni autore. I bambini potranno così interiorizzare davvero la storia dell’arte. Le fette di pane colorate di Ida trasformano la metafora nutrire la mente in un dato di fatto.
Torniamo seri, o quasi, con Charles Dickens: secondo i suoi principi educativi i figli cresciuti vigorosi e sani, restavano astemi giusto il tempo di raggiungere la maggiore età. Nel 1868 inviò al figlio Henry diciannovenne, appena giunto a Cambridge, una lettera in cui si preoccupava che lui non fosse costretto a fare debiti e soprattutto non patisse la sete: per questo gli assicurava un cospicuo reddito annuo e un’altrettanto cospicua scorta di alcol, trentasei bottiglie di sherry, ventiquattro di porto e trentasei di light claret (bordeaux), più sei bottiglie di brandy. D’altra parte le cose erano già ampiamente migliorate dai tempi in cui William Hogart, nel 1751, s’impegnava a sostenere la battaglia governativa contro l’uso smodato e ditruttivo del gin tra la popolazione più povera di Londra. Di quell’anno è la famosa stampa Gin Lane che rappresenta con desolata crudezza lo scenario dei bevitori e, in particolare, una donna che lascia cadere nel vuoto il figlio, abbandonata in un indifferente stupore e un’altra che versa in bocca a un poppante il terribile liquore.
Se consideriamo il mondo, il nostro mondo, nel suo insieme, rinunciando a una visione regionale, locale, personale, l’alimentazione per molti bambini non è un problema di bilanciamento calorico o di food design, ma di sopravvivenza. E troppo attuale è ancora la feroce critica all’indifferenza della società affluente descritta da un giovane Swift nel 1729. L’autore dei Viaggi di Gulliver pubblica in forma anonima un perfido pamphlet intitolato Una modesta proposta (: per evitare che i figli dei poveri siano di peso ai loro genitori e al paese e per renderli utili alla società). È una satira iperbolica con cui Swift invita gli irlandesi poveri a sollevarsi dalla loro miserrima condizione vendendo i propri figli, perché siano imbanditi sulle ricche tavole dei gentlemen e delle ladies del regno.
Propongo dunque umilmente all’attenzione del pubblico che dei centoventimila bambini, già calcolati, ventimila siano destinati alla riproduzione, di cui solo un quarto maschi, che è più di quanto concediamo alle pecore, ai buoi e ai maiali, e ciò perché questi bambini raramente sono frutto di matrimonio, istituzione questa poco tenuta in considerazione dai nostri selvaggi, per cui un maschio sarà sufficiente a servire quattro femmine; che i rimanenti centomila siano venduti a un anno di età alle persone benestanti e d’alto rango di tutto il regno, consigliando sempre alle madri di farli succhiare in abbondanza nell’ultimo mese, così che diventino ben grassi e paffuti per un buon pranzo. Un bambino permetterà di preparare due pietanze in un ricevimento tra amici e quando la famiglia pranza da sola, il quarto davanti o di dietro offrirà un pranzo decente, e, condito con un po’ di pepe o sale, sarà molto buono bollito dopo quattro giorni, specialmente in inverno.
Un rimedio alla fame, quello di Swift, cui certo sarebbero preferibili perfino le monotone diete di Eta Beta l’amico di Topolino, che prima di iniziare a nutrirsi con palline di naftalina viveva di sole piume di piccione.
Eugenio Barba, fondatore e guida dello storico Odin Teatret di Holstebro, nel discorso di ringraziamento per il titolo di dottore honoris causa conferitogli nel 2012 dalla facoltà di Teatro e Televisione dell’Università romena di Cluj-Napoca, ha scritto:
Nel secolo XX, nei luoghi fortunati in cui regna la sazietà e l’arte sembra talmente accettata da divenir fine a se stessa, sarà chiamata fame un’intima necessità personale e sociale. Artaud paragona questa necessità addirittura a quella del pane.
Dalla fame alla fama, dunque? Come scriveva George Büchner, all’inizio della sua commedia del 1836 Leonce e Lena: -E la fama? ; – E la fame?